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Questo blog è un manifesto che dedichiamo all’esperienza maturata (per davvero) cliente dopo cliente in Digital Followers. Scopri le nostre case history.
Come si crea un logo aziendale

Logo aziendale: quanto dovresti pagarlo?

Tempo di lettura: 3 minuti

Perché il logo per la mia azienda deve costare così tanto? In giro li trovo a 50€.

Il mio percorso iniziale di studi e la mia passione mi hanno avvicinato tantissimo a tutto quello che è il mondo del design grafico. Amo linee, colori, font, forme e di conseguenza i marchi.

In rete si trovano designer o presunti tali (la definizione del ruolo al giorno d’oggi è autogestita) che offrono loghi aziendali a 50€ e talvolta anche meno.

Perché allora in Digital Followers un logo lo paghi molto di più di quella cifra?

Potrei rispondere perché c’è esperienza e professionalità ma non mi accontento e di seguito a questo mio articolo trovi alcune immagini prese dalla presentazione di un logo realizzato da poco per un ristorante di alto livello.

Piccola premessa:

il marchio è uno dei primi elementi che rappresenta un’attività. Fa parte della famosa “prima impressione”. Vuoi veramente che la tua attività sia rappresentata da una cosa che costa poco? Cosa si aspetteranno i tuoi clienti da te? Vorrai veramente vendere prodotti o servizi che costano poco?

Come realizziamo il logo per un’azienda? Il caso nel settore food.

Come prima cosa, una volta ricevuto il nome ideato per un ristorante di futura apertura (si chiamerà Belavocado Restaurant by Frachef), abbiamo valutato la Dinamica geometrica delle singole lettere. Significa dare una forma convenzionale alle lettere presenti appunto nel nome. Questo identifica subito se siamo davanti ad un potenziale marchio “rigido” perché presenta maggiori forme squadrate oppure “morbido” perché presenta più forme arrotondate.

Dinamica del nome nella creazione di un logo

Successivamente abbiamo creato una Moodboard. Si tratta di un insieme di immagini che rappresentano il locale che il cliente ci ha descritto in base alle sue aspettative (il ristorante aprirà nel 2023). È un modo per immergersi (in questo caso) nel ristorante e “sentirlo” a livello visivo. Si attivano i sensi, non solo quello della vista, ma anche tutti gli altri.

La moodboard per la creazione di un logo aziendale

Poi abbiamo il pittogramma del marchio cioè quell’elemento che aiuta il marchio finale nel suo posizionamento di marca. Qui il cliente voleva subito dare l’idea di comfort e di relax, quindi abbiamo scelto due elementi che poi sono stati successivamente elaborati.

Elementi logo per creazione pittogramma

Mi fermo qui, siamo solo all’inizio e già ora sicuramente avrai compreso il lavoro che sta dietro alla creazione di un marchio. Tutto il resto lo puoi trovare nella video-presentazione che abbiamo fatto al cliente con tutti i dettagli e le spiegazioni passo passo.

Se ti piacerebbe vedere la video presentazione della creazione di questo logo scrivimi (stefano@digitalfollowers.com), te la faccio avere con piacere.

Perché non la pubblico direttamente qui? Perché è preziosa, racchiude tanto lavoro svolto nel nostro team e la fornisco solo a persone realmente interessate a vederla, probabilmente come te che hai letto l’articolo fino a qui.

Come convivono nel Marketing Pianificazione e Creatività?

Tempo di lettura: 3 minuti

Ogni giorno, nel mio lavoro in web agency, ho appuntamento fisso con due attività che, per quanto all’apparenza distanti, rappresentano di fatto due facce della stessa medaglia: pianificazione e creatività.

Non c’è creatività senza pianificazione, nel marketing.
Non c’è pianificazione senza creatività, nel marketing.

Su questo tema, oggi vi porto l’esempio di come realizzo i calendari editoriali per i post social di un gruppo di B&B di Napoli, attività dove pianificazione e creatività non fanno un passo l’una senza l’altra.

Come prima cosa, pianifico. Ma cosa nello specifico?

La pianificazione risiede già nel modo in cui mi approccio a questo lavoro: progetto sempre il mese prima per il mese dopo. Questo mi da la tranquillità di sapere che non mi lascerò sfuggire nulla, non ho mai amato le cose fatte all’ultimo momento, mamma mi ha cresciuta dicendomi “chi ha tempo non aspetti tempo”. Inoltre, in questo modo pratico il rispetto verso chi collabora con me, senza costringere gli altri a fare i salti mortali per stare dentro a tempi assurdi.

E così, il mese prima per il mese dopo, stabilisco nero su bianco:

  • Numero dei post da pubblicare (anche se spesso questi sono già concordati a monte col cliente);
  • Date di pubblicazione dei post in coordinamento con le date di pubblicazione degli articoli del blog del B&B (anche questo curato assieme a noi), in modo da non andare in conflitto o anticipare temi che verranno diffusi tramite il blog;
  • Tipologia dei post (come ad esempio: post fotografici, post video, post di condivisione degli articoli, ecc…);
  • Ritmo di alternanza tra le tipologie di post: post divulgativi, post promozionali, post emozionali, post brand, post informativi, ecc…;
  • Budget e target per i post sponsorizzati.

 

Una volta creata questa alberatura, passo al cuore del lavoro, dove occorre inventiva, conoscenze e creatività: la realizzazione vera e propria dei testi dei post e della loro parte visiva (foto o video).

Per realizzare i contenuti, mi dedico a una buona fase di documentazione, perché per raccontare e divulgare un tema bisogna in primis conoscerlo. Questo è un lato davvero positivo del mio mestiere, perché si imparano letteralmente una valanga di cose nuove ogni giorno 🙂

La ricerca coinvolge ovviamente anche la parte visiva: non sempre il cliente ha a disposizione fotografie adatte ai post, spesso quindi è un lavoro di ricerca anche questo.

Una volta compresi e individuati i contenuti, si passa alla parte di scrittura (che adoro) in cui confezionare al meglio il testo di ogni singolo post, tenendo sempre a mente che anche l’immagine del post può contenere una parte di testo, e che quindi può e deve sussistere un “botta e risposta” tra le due parti.

Indico poi per filo e per segno ai miei super colleghi grafici come vorrei fossero realizzate le parti grafiche sulle immagini che ho scelto, fermo restando che brand color e mood visivo sono già stati decisi a inizio progetto.

Infine, una volta realizzati nel concreto i post e ricevuto l’ok dal cliente sul calendario editoriale proposto, si passa alla programmazione di budget e date di pubblicazione sui diversi canali.

Il principale vantaggio, per il cliente, è di avere assicurata una costante presenza sui social che va quasi “in automatico” nel tempo.

E così si chiude il cerchio e il gioco è fatto, pronto a ripetersi (ma sempre rinnovandosi) di mese in mese.

Come creare il nome di un brand efficace?

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Il nome di un brand è uno dei principali elementi che aiuta i clienti a identificare e differenziare una realtà da un’altra. 

Cos’è il brand name?

Si tratta del nome vero e proprio del brand. I naming di una marca e di un prodotto hanno lo scopo di differenziarli dalla concorrenza nella mente dei consumatori, per questo la scelta di una strategia adeguata è essenziale.

Il nome non dovrebbe mai descrivere i prodotti che l’azienda tratta, proprio per non risultare banale e ripetitivo; dovrebbe invece comunicare e suscitare curiosità o emozioni e in altri casi comunicare in modo istituzionale ma creativo.

Per questo, il nome di un brand dovrebbe essere scelto con grande attenzione in quanto l’obiettivo deve essere catturare il tema chiave di un prodotto o evocarne il mood emotivo.

Esistono due principali tipi di brand name: quelli descrittivi e quelli evocativi. I primi sottolineano le caratteristiche dell’offerta, hanno un carattere immediato, facile e intuitivo e sono ottimi per le performance commerciali (es: Booking.it).

I nomi evocativi, invece, richiamano l’offerta attraverso suoni, stili e significati. Essi possono dare luogo a diverse interpretazioni, alcune delle quali molto personali e soggettive (es: Trivago, Zalando, Nutella…).

Una volta scelto se il nome del brand debba essere descrittivo o evocativo, è fondamentale pensare a un nome che sia facile da notare, leggere, pronunciare e memorizzare dal target. Inoltre deve essere unico e possibile da registrare. Inutile dire che la scelta di un brand name richieda molte ricerche!

Caratteristiche di un nome di un brand efficace

Un buon naming deve (NB: ovviamente 1 singolo nome non può rispecchiare tutte le seguenti caratteristiche):
  • essere unico/distintivo (ad esempio Kodak, Mustang)
  • essere facile da pronunciare, identificare e memorizzare (Per esempio-IKEA)
  • dare un’idea delle qualità e dei vantaggi del prodotto (ad esempio Swift, Quickfix, Lipguard).
  • essere facilmente convertibile in lingue straniere.
  • poter venire protetto a livello legale ed essere registrabile.
  • indicare qualità concrete (se descrittivo).
  • Fare attenzione a non rappresentare significati negativi in altre lingue in caso di esportazione del brand (ad esempio NOVA è un nome scadente per un’auto da vendere in un paese spagnolo, perché Nova in spagnolo significa “non va”).

Quali sono gli step per scegliere un brand name di successo?

  1. Il nome va scelto alla luce degli obiettivi che il brand si è prefissato. È essenziale riconoscere il ruolo e il “carattere” del nome del brand all’interno della strategia di branding aziendale, per questo la scelta del nome va fatta con un sguardo omnicomprensivo al fine di essere allineato con gli obiettivi e i ragionamenti strategici di comunicazione e di marketing del brand.
  2. Generazione di più nomi: per arrivare a un buon nome, qualora fosse possibile, affidati a più “fonti” che propongano nomi: colleghi, dipendenti, clienti attuali o potenziali, agenzie marketing e consulenti professionali (come ad esempio Digital Followers).
  3. Screening dei nomi al fine di soddisfare l’elenco riportato sopra sulle caratteristiche da rispettare. Quando trovi un nome che ti piace, chiediti: è facile da pronunciare? Da memorizzare? Se hai intenzione di esportarlo in Francia, ci sono connotazioni negative? Puoi registrarlo a norma di legge? E così via.
  4. Raccolta di dettagli più ampi su ciascuno dei nomi definitivi: va effettuata un’ampia ricerca legale internazionale sulla possibilità o meno di utilizzare il nome (la cosiddetta “ricerca di anteriorità”). Questa è una fase complessa (occorre affidarsi a un’agenzia professionale) e talvolta, ahinoi, frustrante.
  5. Condurre ricerche sui consumatori: le ricerche sui consumatori sono spesso effettuate in modo da confermare le aspettative del management in merito alla memorabilità e all’importanza del brand e del nome prescelto. Prima del lancio ufficiale, puoi dare vita a una piccola intervista o sondaggio per scoprire se il tuo pubblico reputa azzeccato il nome a cui sei arrivato oppure no.
  6. Sulla base dei passaggi precedenti, finalmente potrai confermare il nome del brand e quindi registrare formalmente il tuo marchio.
Se desideri saperne di più o ricevere un consiglio, spunti e idee per il nome del tuo prossimo brand, contatta senza impegno la web agency Digital Followers: ci occupiamo con successo di comunicazione e marketing da oltre 20 anni.

Gestione blog e newsletter per il settore tecno-tessile

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“La velocità è tutto!”, mi diceva da piccola mio fratello. Ne soffrivo sempre perché lui, agile e scattante, un frenetico perenne, se la prendeva con me, tonta e lenta sognatrice con la testa tra le nuvole e le matite sempre in mano.

Eppure quanto è vero che la velocità “è tutto”, quando si tratta di pubblicare comunicati stampa, bandi e comunicati per una realtà italiana coinvolta all’interno di politiche europee di concorsi e open call per il bene dell’ambiente.

Da ormai un anno collaboriamo con questa azienda nostrana del tecnotessile che fa ricerca e sviluppo per soluzioni tessili e di abbigliamento sempre più eco-sostenibili. Questa bella realtà è inserita all’interno di un ricco crocevia di imprese nazionali e internazionali che perseguono l’obiettivo di trovare soluzioni sempre più green, sostenibili ed etiche per il vestiario (lo sapevi? La seconda causa al mondo per l’inquinamento è il settore della tintura dei capi!).

Per loro, mi occupo della divulgazione attraverso siti e newsletter di notizie, bandi e concorsi su tale ambito.

Quando ci siamo incontrati nella loro sede a Prato, è stato un piacere per la nostra agenzia vederci riconosciuto il merito di essere dei collaboratori veloci e precisi rispetto all’agenzia precedente, qualità fondamentali in questo settore dove le dinamiche non permettono il lusso di “mettere in coda la richiesta ricevuta”.

Insomma, mio fratello Davide era stato premonitore in questo, e il suo “la velocità è tutto” mi risuona in testa a ogni nuovo comunicato stampa 😉

Il mio sito sembra un catalogo dell’IKEA. E questo non va affatto bene.

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“Mi dicono che il mio sito sembra un catalogo dell’IKEA. E questo non va affatto bene.”.

Lucida, lapidaria, centrata, è l’auto-analisi di Massimo riguardo al suo sito, un sito che da voce a un progetto tutto particolare.

Massimo è a capo di un team di artigiani digitali che, letteralmente, creano “libri da appendere”, mappe visualizzate dei grandi temi della cultura dell’uomo, dalla musica, alla letteratura, dalla storia del rock alla mitologia greca, dai celebri scacchisti alla grammatica italiana.

“Siamo un laboratorio di creatività che produce mappe di varie tematiche culturali, utilizzando solo parole, evidenziando relazioni insospettate e connessioni nascoste, attinenze e collegamenti visivamente inaccessibili prima della nascita del computer grafico, poco prima degli anni novanta del secolo scorso.”

Prima del nostro intervento, il sito di questo progetto editoriale stava ormai stretto al cliente, che di fatto necessita ora, ci dice, di uno spazio web che possa sostituire la sua presenza nelle fiere di settore. Squadrato e freddo, la versione precedente del sito dava l’idea di qualcosa di “fatto in serie”, un po’ come i famosi arredi economici di IKEA, come sottolineato fin da subito dal cliente.

Un sito, insomma, che non dichiarava l’anima sartoriale, artigianale, da “opificio digitale” del gruppo di designer, grafici, letterati e specialisti a cui fa capo questa letteratura da parete, dove stupore e meraviglia sono gli ingredienti fondamentali di cui si intessono queste mappe di parole.

E qui siamo intervenuti noi, collaborando strettamente con l’istrionico e brillante Massimo, al fine di trovare la quadra tra sentimento e atelier, tra prodotto e target, tra usabilità e design.

Web Design: 8 Tendenze grafiche che definiranno il 2022

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Gli eventi del 2020/21 sono destinati a influenzare le tendenze del graphic design negli anni a venire?

La pandemia, il movimento Black Lives Matter e #StopAAPIHate hanno scosso in profondità la recente storia dell’uomo, oltre ai sempre più devastanti sconvolgimenti climatici e i cambiamenti politici globali che permeano soprattutto le menti e l’agire delle generazioni più giovani.

Si tratta di avvenimenti che entrano nella psiche e che di conseguenza influenzano la visione del mondo e il modo in cui l’essere umano lo interpreta, anche attraverso canali come il design, la moda, la comunicazione e il marketing.

Nel mondo aziendale, la pandemia ha cambiato il modo in cui le imprese comunicano con i loro clienti. Lo stesso è valso a lungo per le relazioni tra docenti e allievi, tanto che il distanziamento sociale ancora modifica le attività come eravamo abituati a viverle, quando addirittura non le vieta.

Nel 2021 si è parlato sempre di più di inclusività, fluidità di genere, inquinamento e body shaming, tanto che molti brand hanno cavalcato per la loro comunicazione temi come la parità, il green, la grassofobia e il gender fluid. Instagram e TikTok si sono riempiti di contenuti “friendly” sempre più umanizzati.

Cosa dobbiamo quindi aspettarci dal graphic design nel 2022? Quali sono le tendenze di quest’anno, alla luce delle energie che permeano il pubblico sentire dal 2020 a oggi?

Le attuali tendenze del design grafico puntano su immagini inclusive, visualizzazioni dei dati più divertenti e appetibili; l’audacia si esprime attraverso colori sempre più vivaci, sfondi, icone e illustrazioni anche fumettistiche. Le tendenze 2022 includono inoltre meme legati ai brand e caratteri Serif; nelle comunicazioni incoraggiano l’uso di citazioni come teaser per i contenuti.

Trovi le innovazioni di design più dominanti nel panorama nel 2022 nell’infografica di Venngage qui in basso. Buona visione!

L’abito non fa il monaco. Ma per il cervello sì

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È assurdo che l’aspetto estetico, puramente di design, di una comunicazione di marketing, sia da molti ancora vista come una “decorazione aggiuntiva”, un “abbellimento non importante”, “pretese grafiche di poco conto”.

Ci sono in giro, e sono tantissimi, giovani o meno giovani markettari che hanno fatto un po’ di corsi “per diventare esperti di marketing” e, dopo qualche mese, tali “esperti” (concedetemi le virgolette) propongono alle aziende le “soluzioni vincenti per incrementare vendite e profitti”.

Fin qui, per carità, possiamo anche farcelo andare bene. Se una persona è sveglia e ha studiato sodo, del buono lo può portare a un’azienda che non sa da dove iniziare col marketing, anche se non dimentichiamo mai quanto è importante l’esperienza che si fa col tempo. Ma va bene, supponiamo che non ci interessi l’esperienza, ma che come azienda ci piaccia l’idea di essere seguiti da questo giovane esperto, magari esperto in “funnel marketing” (non so voi, ma la mia bacheca Facebook è stata forse per un paio d’anni invasa da video di ragazzini che, col macchinone noleggiato e sfondo Hawaii, parlano agli imprenditori di come fare davvero soldi grazie al loro sistema di funnel, come se il funnel fosse chissà quale novità e non una delle strategie BASE del marketing).

I lavori di questi esperti si riconoscono perché tutti molto simili tra loro: utilizzano le stesse piattaforme per sviluppare siti e landing page, gli stessi schemi di comunicazione, lo stesso stile (spesso “sensazionalistico”) nei testi, la stessa struttura e pure le stesse icone e font.

Se approfondisci con uno di loro, spesso ti dirà che “non sa quasi nulla di grafica” e spesso tratta l’aspetto estetico come l’ultimo dei problemi, quasi un vezzo fastidioso. La pagina di vendita, il sito o landing page, sono brutti da vedere e tra loro tutti simili? Non importa, almeno a loro non importa, ciò che conta è solo quanto c’è scritto.

Se questo valesse davvero, allora realtà come Apple e tutta un’infinita sfilza di big brand non si dovrebbero curare minimamente dell’impatto estetico delle loro comunicazioni e dei loro prodotti.

In generale se un’azienda per cui inizi a lavorare possiede certi standard estetici con una coerenza e un filo logico di branding, questi vanno mantenuti e non declassati come “elementi superflui”, perché l’estetica partecipa alla trasmissione degli input persuasivi atti alla vendita tanto quanto il messaggio, altrimenti Apple e nessun altro avrebbe bisogno di lavorare tanto sul design.

Come un commerciale vestito nel modo giusto o in quello sbagliato a un appuntamento col cliente, il look&feel di una comunicazione non è un “vezzo”, ma uno strumento di vendita. Nei corsi di visual persuasion, si dice spesso:

“l’abito non fa il monaco, ma per il cervello sì”.

La coerenza visiva e certi accorgimenti grafici (es: la scelta di certi colori anziché altri; un tipo di font anziché un altro; la capacità di impaginare i contenuti sapendo donare gerarchia implicita nei messaggi veicolati) servono per trasmettere l’idea di azienda strutturata e non “fai da te”, azienda che ha una SUA voce univoca e indistinguibile.

Siamo ancora sicuri che il design sia un orpello di poco conto? Siamo sicuri che di fronte a pagine poco curate, l’utente non penserà “ma se questi non sanno fare bene le cose per loro, come potranno farle bene per me”?

A riprova di quanto dico, porto un esempio. Ho di recente realizzato una landing page per un’azienda che offre servizi gestionali ad altre aziende, come ad esempio servizi di temporary manager.

All’interno di un processo atto a ottenere contatti (oh! toh, guarda: un funnel!), è prevista una landing page che ha l’obiettivo di raccogliere i contatti di potenziali nuovi clienti.

Ecco a confronto la pagina nei sui schietti contenuti così come li ho scritti senza veste grafica, e la pagina con quegli stessi identici contenuti però impaginati con attenzione ai mille e più aspetti della visual persuasion.

Osservatele un momento e chiedetevi di nuovo: siamo ancora sicuri che il design sia un orpello di poco conto?

Penso di conoscere la vostra risposta 😉

Come certe aziende vincono con Pazienza e Continuità

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Lo sappiamo: oggi è sempre più complesso affrontare il mercato, ogni giorno nascono nuove aziende e quindi nuovi concorrenti. Il consumatore è perennemente online, su Google o sui social, e questo rende necessario affrontare, volenti o nolenti, la questione della visibilità in rete e la necessità di farsi trovare sul www.

Veramente tutto questo ci deve abbattere? Siamo imprenditori e imprenditori italiani, doppia difficoltà 😉  e proprio per questo non ci fermiamo, anzi ci rafforziamo.

Vogliamo che chiunque riconosca il valore dei nostri prodotti/servizi perché quello che facciamo è di altissimo profilo. Ma quindi come facciamo ad emergere in questo mercato con la nostra qualità?

Questo è il più classico dei problemi dei miei clienti imprenditori: bisogno di visibilità.
Il prodotto c’è, il servizio c’è e quasi sempre sono di alta qualità, ma quello che serve è mostrarsi al pubblico, alzare la mano.

Facciamoci una domanda semplice: perché i grandi brand continuano a far pubblicità?

C’è ancora qualcuno che non conosce Coca-Cola o Barilla? Perché allora continuano a comparire?

Primo perché occupano uno spazio. Immagina la pubblicità in generale (metti tutto assieme: tv, social, radio, manifesti, locandine, etc) come un campo di calcio con 11 giocatori. Improvvisamente manca un attaccante, cosa succede? Viene sostituito perché dobbiamo giocare 11 contro 11. Quindi se Barilla non c’è, arriva De Cecco o un’altra marca. Semplicemente occupa lo spazio!

Secondo perché nella mente del consumatore c’è spazio al massimo per 3 brand appartenenti alla medesima categoria (es categoria “scarpe da running”). Prova a chiederti quante marche di trapano conosci? E rispondi nel giro di pochi secondi. Sei arrivato alla terza? Normalmente per ogni categoria di prodotto o servizio le persone ricordano al massimo 2 brand, con difficoltà il terzo. Quindi se scompari dalla testa del consumatore devi faticare per ritrovare la posizione.

Ma tutto questo è applicabile anche le medie imprese italiane? Certo! Mai come ora esiste il vantaggio di poter usare il web come trampolino di lancio, l’importante è avere pazienza e continuità.

Pazienza

Ti affacci ora sul web, hai un brand che nessuno conosce e magari un prodotto innovativo. Perché non dovresti avere pazienza? Prova a metterti nei panni del tuo consumatore.

Acquisteresti un prodotto di una marca sconosciuta o magari che non ha ancora provato nessuno?

La pazienza correlata da contenuti intelligenti, da un posizionamento di marca corretto, da una presenza strategica sui social, da elementi che fanno da calamita verso quello che proponi sono le attività che ti servono e che ogni giorno realizziamo per i nostri clienti. Qui sotto puoi vedere un paio di esempi dei contenuti social / dei calendari editoriali che studiamo per alcuni di loro.

Continuità

Ricordi cosa abbiamo detto prima? Se rimani presente nella testa del consumatore lui ti terrà come riferimento. È vero che le imprese italiane non sono tutte come Barilla o Coca-Cola, anzi, ma con un corretto brand positioning (posizionamento di marca) puoi anche tu essere il riferimento per quella categoria (qui ne trovi un esempio, di cui ti anticipo qualcosa del lavoro svolto dalla nostra agenzia nelle 2 immagini sottostanti):

Non servono budget milionari, anzi talvolta anche piccoli ma l’importante è esserci con continuità. Potrai avere momenti dove per stagionalità, per promozioni, per lancio di un prodotto specifico o per un altro motivo vorrai essere più visibile, ma non spegnere mai la tua presenza se non vuoi che qualcuno occupi lo spazio per cui hai tanto faticato nella mente del tuo consumatore.

Dal maiale ai mezzi: le due “cose Marketing” che faccio ogni giorno

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Generazione di contenuti e targeting: dura la vita del content manager. Cosa fare per ottenere un flusso ininterrotto di contenuti efficaci?

Ero in treno verso i laghi bellunesi e Francesco, che da qualche mese ha iniziato a gestire la pagina Instagram di un gruppo d’arte, mi chiede: “ma Alessandra, tu che fai questo lavoro da molto più tempo di me, quali sono i consigli top che ti sentiresti di dare a chi è agli inizi?”

Questa domanda mi ha fatto provare al contempo due cose: la prima è che per la prima volta nella vita ho scoperto che si stanno ribaltando i ruoli, perché ero sempre stata io quella più giovane e più inesperta, mentre ora la prospettiva muta (sto invecchiando, lo so 😄); la seconda è che booooom, non avevo dubbi su che cosa rispondere.

Francesco, sono due le cose principali che mi sento di consigliarti con tutto il cuore se vuoi fare bene il tuo lavoro di “content creator”, ossia di creatore di contenuti (poco importa se tali contenuti diventano un post su Instagram o un articolo in un blog o altro ancora: sempre di contenuti si tratta).

La prima: non buttare via niente, come si dice di fare col maiale!

Sì, poco poetico, ma tanto vero: chi – come me – si occupa di generare contenuti per un’azienda o un brand, contenuti che diventano testi, immagini, video, ecc…, deve sempre avere l’idea che l’azienda per cui lavora dovrà pubblicare contenuti “all’infinito” e che quindi il suo lavoro deve mettersi nella condizione di poter produrre contenuti “all’infinito”. Ci sono aziende che, per la natura di prodotti o servizi che offrono, hanno effettivamente la possibilità di comunicare tantissime cose. Qui le cose sono più semplici da un certo punto di vista, perché non ci si deve spaccare la testa per inventare il contenuto da pubblicare: il paniere è talmente ben fornito che, al contrario, in questo caso il lavoro è saper scegliere!

Ad esempio, Francesco lavora per questa pagina d’arte, che parla di pittura, fotografia, design, musica, cinema… caspita, qui la sfida è togliersi dall’imbarazzo della scelta!

Ma la realtà dei fatti, almeno dei fatti capitati nel mio piccolo in questi anni, è che la maggior parte delle aziende o dei brand non può contare su una cornucopia incessante di contenuti da raccontare. Ed ecco che qui entra in gioco il nostro maiale 🙂

Del maiale non si butta via niente, e così bisogna fare con i contenuti: dire 1 sola cosa alla volta, 1 solo concetto per post, è già un ottimo inizio per stagliuzzare il contenuto e, da un singolo argomento, scoprire che se ne possono ricavare tantissimi altri e che ogni (OGNI) aspetto può trasformarsi in un nuovo contenuto. Questo articolo che sto scrivendo, ad esempio, già va contro a questo principio (perché si predica bene e si razzola così così), dato che a breve parlerò del consiglio nr 2, che avrei potuto benissimo raccontare in un nuovo articolo a se stante (e wow, magia: invece di 1 articolo ne avrei sfornati il doppio 😉).

Un altro ottimo sistema per generare contenuti come non ci fosse un domani è essere sempre attenti: siamo davvero sicuri che un’azienda di isolamenti termici abbia poco o nulla da dire? Già solo passando in rassegna i tanti perché una persona ha bisogno di/sceglie un isolamento, magari ecosostenibile, può aprire tantissimi scenari. Chi ne beneficiarà? Come sarà la cameretta dei bambini senza più rischi di muffe dannose? Come si dormirà di inverno senza tutto quel frigido? Che bello sarà scoprire il risparmio in bolletta? Ecc ecc…

Dritta nr 2: TUTTO parte dal target

Ah, questa cosa non mi stancherò MAI di sostenere e applicare! È la più grande lezione di marketing e comunicazione che ho sempre visto confermata in questi 10 anni: il tuo messaggio non farà molta strada se non lo hai cucito a puntino per il preciso target di riferimento dell’azienda.

Chi è? Quanti anni ha? Cosa legge? Ha figli? Che ruolo ricopre nel lavoro? Quali sono i suoi più grandi desideri (che il tuo prodotto o servizio può soddisfare)? Quali sono le sue più grandi paure (che il tuo prodotto o servizio può soddisfare)? E così via… Fai un buon ritratto del tuo target, il più veritiero e dettagliato possibile, lo devi proprio riconoscere, e solo allora inizia a scrivere e a generare contenuti, perché ricordiamoci che i contenuti vanno creati in modo che piacciano al target, non all’imprenditore o al markettaro.

Più conosci chi leggerà o guarderà il tuo contenuto, più saprai che parole, immagini, figure retoriche e riferimenti utilizzare.

E qui non posso non citare una massima che tanto tanto tanto mi è cara:

“La gente non vuole un trapano, vuole un buco nel muro.”
(Philip Kotler)

Questo significa saper tirare fuori il beneficio dal beneficio. In altre parole, la gente non compra punte da trapano del 5. Compra buchi del 5 così può appendere le foto dei suoi figli.

Al potenziale cliente non interessa il tuo trapano (prodotto/servizio); gli interessa il buco nel muro (il risultato che otterrà). Gli interessa il buco nel muro perché così potrà appendere le foto dei suoi figli. Non si acquistano prodotti ma “mezzi” per essere più felici.

Le persone non vogliono quello che fate, vogliono ciò che il prodotto fa per loro. Vogliono il modo in cui li farà sentire. Vogliono un mezzo.

E più abbiamo chiaro, come creatori di contenuti o Content Manager, come vogliono sentirsi i nostri destinatari, più sapremo utilizzare le leve giuste per avvicinarli all’acquisto o, almeno, alla presa in considerazione del brand per cui stiamo lavorando alacremente.

Così forse ci risparmieremo (e soprattutto lo risparmieremo all’azienda per cui creiamo contenuti) il dolore di vedere i clienti optare con più soddisfazione per le soluzioni offerte da lui, il temuto Concorrente.

Ecco cos’ho raccontato a Francesco, che subito si è messo a lavorare al suo ultimo post 😉

eCommerce: “Il mio prodotto lo voglio vendere a tutti!” (B2B vs B2C)

Tempo di lettura: 3 minuti

“Che differenza fa? Il mio prodotto lo vendo già alla grande ai rivenditori, ora li salto via e vado direttamente al pubblico finale, così mi resta molta più marginalità in tasca”.

Quante volte ho sentito e quante volte ancora oggi sento queste parole. Il tema di per sé non fa una piega ed è giustissimo: c’è un ostacolo tra il mio prodotto e l’acquirente finale (in questo caso: il rivenditore)? Bene, lo salto a pie’ pari. Ma veramente è cosi facile?

I punti da analizzare sono molteplici, ma oggi vi parlo della specifica relazione tra il produttore e il consumatore, simulando la mancanza dell’ostacolo, la rete dei rivenditori.

Riporto di seguito un classico dialogo tra me e uno degli imprenditori con i quali quotidianamente parlo. Le mie classiche domande.

1. Adesso con chi parli per proporre/vendere il tuo prodotto?

Imprenditore: non c’è un unico interlocutore, ce ne sono diversi con i quali discuto dei miei bancali. Ci può essere il buyer, il produttore diretto, il responsabile amministrativo o talvolta anche tutti assieme.

2. Quali sono gli argomenti sui quali maggiormente vi soffermate?

Imprenditore: quanto materiale serve, numero dei bancali, il prezzo in base alle quantità, fatture, bolle, etc etc

3. Che tipo di linguaggio usi? Come ti presenti?

Imprenditore: dipende da se è un potenziale cliente oppure se lo conosco già da tempo. Nel primo caso andiamo con il “lei” per poi passare con il tu” se le parti raggiungono una buona affinità. Nel secondo si va di “tu” diretto e si discute solitamente dei riordini di materiale.

Mi fermo un attimo perché c’è già tanto da discutere. Se sei arrivato a leggere fin qui significa che l’argomento ti tocca e magari sei un imprenditore che vorrebbe convertire o aprire un mercato “saltando l’ostacolo rivenditori”, ma voglio essere breve e stimolare la tua fantasia.

Ipotizziamo ora che sei prontissimo a vendere al consumatore finale. Tutto fatto, sito, ecommerce, foto prodotti, etc

Partiamo dalla domanda 1: Adesso con chi parli per proporre/vendere il tuo prodotto?

Davanti a te, o molto probabilmente in un commento di Facebook, c’è la signora Maria o il signor Mario (anche il sesso del tuo consumatore è importante ma lo vedremo in un altro momento).

Pensi che del tuo prodotto ne vogliano un bancale? Pensi di trovarli in giacca e cravatta a chiederti l’intestazione dell’azienda con tanto di “codice destinatario”? O pensi che del tuo prodotto ne vogliano un pezzo o una minima quantità? Allora non ti serve più il camion per consegnare il materiale, ma magari devi preparare una scatoletta. Sei attrezzato? La scatola è personalizzata? Hai qualcosa per fare in modo che il tuo prodotto non si rompa durante il viaggio? Mi fermo nuovamente qui…

Domanda 2: Quali sono gli argomenti sui quali maggiormente vi soffermate?

La signora Maria o il signor Mario ti stanno chiedendo, questa volta in chat, se fai assistenza sul prodotto che stai vendendo o se possono chiamare un numero per parlare con qualcuno per capire come si può appendere il tuo prodotto alla parete o come si installa. Vorrebbero anche un pacchetto perché è un regalo per il figlio.

Hai una persona che possa rispondere alle telefonate e che sia in grado di dialogare con la signora Maria o il signor Mario? Saprà fornire informazioni tecniche? Siete sempre disponibili in chat se qualcuno scrive?

Domanda 3: Che tipo di linguaggio usi? Come ti presenti?

C’è qualcuno delle tua azienda che sa scrivere in italiano? (sembra una domanda banale ma non è assolutamente così). C’è qualcuno disponibile a rispondere alle domande su Facebook o in chat o su Instagram? Perché a un potenziale cliente online devi rispondere velocemente perché altrimenti lui avrà già aperto il sito del tuo concorrente e sarà là che farà il suo ordine, se tu non gli rispondi in tempo.

Avrai bisogno di una carta intestata oppure dovrai rispondere con un linguaggio social?

Mi fermo ancora qui e se ti sei ritrovato come imprenditore in queste domande e ne vuoi sentire delle altre😉 siamo pronti a fare una bella chiacchierata assieme. Vieni a parlarci del tuo progetto!